
Il Tribunale di Verona, con decreto del 7 luglio 2025, ha preso una posizione netta su una questione interpretativa di particolare rilevanza nel panorama delle procedure concorsuali: il concordato preventivo con assuntore non rappresenta un tertium genus rispetto al binomio tradizionale liquidazione/continuità aziendale. La decisione veronese si inserisce in un dibattito dottrinale e giurisprudenziale particolarmente vivace, che ha visto contrapporsi orientamenti diversi sulla qualificazione giuridica dell’assunzione nel sistema del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza.
La questione centrale attorno alla quale ruota l’intera problematica riguarda la natura giuridica dell’assunzione: si tratta di un modello autonomo di concordato preventivo, dotato di una propria disciplina specifica, oppure di una mera modalità di esecuzione della proposta concordataria che deve necessariamente inquadrarsi nelle categorie tradizionali del concordato in continuità o liquidatorio? Il Tribunale di Verona ha aderito decisamente alla seconda impostazione, escludendo nettamente la possibilità di considerare il concordato con assuntore come figura autonoma e affermando che la disciplina normativa non consente di collocare l’assunzione in un’area intermedia tra le due tipologie consolidate.
Il ragionamento dei giudici scaligeri si fonda su un criterio di qualificazione particolarmente rigoroso, che individua nell’origine delle fonti destinate al soddisfacimento dei creditori il discrimine fondamentale per la corretta applicazione della disciplina. Quando le risorse derivino dall’attività d’impresa, il piano deve essere qualificato come concordato in continuità e sottoposto alla relativa disciplina; quando invece discendano dalla liquidazione degli attivi o da apporti esterni, deve applicarsi la disciplina del concordato liquidatorio, con tutti i vincoli e i requisiti che ne conseguono.
Nel caso concreto sottoposto all’esame del Tribunale veronese, nonostante il proponente avesse nel frattempo affittato l’azienda e il perimetro dell’assunzione includesse esplicitamente tra gli attivi anche il complesso aziendale in funzionamento, la proposta è stata ricondotta alla disciplina del concordato liquidatorio. La ragione di tale qualificazione risiede nel fatto che l’assuntore non prevedeva di utilizzare per il soddisfacimento dei creditori le risorse derivanti dai flussi di cassa prodotti dalla prosecuzione dell’attività aziendale, elemento che ha determinato l’applicazione delle regole proprie del concordato liquidatorio.
Questa impostazione comporta conseguenze pratiche di notevole rilievo. In primo luogo, si applica il requisito del soddisfacimento dei creditori chirografari e dei privilegiati degradati per incapienza in misura non inferiore al 20%, come previsto dall’articolo 84, comma 4, del Codice della crisi. In secondo luogo, deve essere garantito l’incremento dell’attivo disponibile al momento della presentazione della domanda di almeno il 10%. Infine, la distribuzione delle risorse deve avvenire in base alla sola regola della priorità assoluta, senza possibilità di applicare i meccanismi di flessibilità distributiva previsti per il concordato in continuità.
L’orientamento del Tribunale di Verona si contrappone a quella parte della dottrina che aveva invece sostenuto l’opportunità di riconoscere all’assunzione una collocazione autonoma, valorizzandone i caratteri di alterità rispetto alle due tipologie tradizionali. I fautori di questa impostazione avevano propugnato un’applicazione “a mosaico” delle norme del Codice della crisi d’impresa, pescando tra le due discipline quella più confacente a disciplinare l’intervento dell’assuntore, così da ibridarne interpretativamente il modello.
La decisione veronese ha invece privilegiato un approccio più rigoroso e sistematico, che trova peraltro riscontro nella giurisprudenza più recente. Come evidenziato dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, nel concordato preventivo in continuità aziendale il sindacato del Tribunale in sede di omologazione si articola in un controllo di legittimità sostanziale che comprende la verifica della regolarità della procedura, dell’esito della votazione, dell’ammissibilità della proposta, della corretta formazione delle classi e del rispetto della parità di trattamento dei creditori all’interno di ciascuna classe.
Nella sostanza, seguendo l’impostazione del Tribunale di Verona, l’assuntore diviene un acquirente del compendio concordatario non assoggettato alla procedura competitiva, ma che comunque soggiace alle regole imposte al concordato liquidatorio. Questa qualificazione comporta l’applicazione di vincoli più stringenti rispetto a quelli previsti per il concordato in continuità, ma garantisce al contempo maggiore certezza interpretativa e uniformità applicativa.
Il decreto veronese ha evidenziato anche altre criticità specifiche del caso concreto, che probabilmente hanno orientato la valutazione giudiziale complessiva. In particolare, sono state ravvisate carenze nella determinazione del valore di liquidazione ex articolo 87 del Codice della crisi d’impresa, stante l’incompleta valutazione delle azioni di responsabilità nei confronti di amministratori e revisore, nonostante le criticità emerse dai bilanci e la lunga permanenza in carica dei medesimi.
Ulteriori profili problematici sono stati individuati nella non omogenea formazione delle classi, soprattutto con riguardo ai crediti assistiti da garanzie pubbliche, per i quali è stata evidenziata la necessità di previsione di un’apposita classe virtuale. Anche le garanzie offerte dall’assuntore sono state oggetto di rilievi critici, essendo fondate su lettere di patronage prive di vincoli giuridici idonei a tutelare i creditori.
Da ultimo, sono state evidenziate carenze dell’attestazione circa l’assurance della capacità del terzo garante di adempiere agli obblighi assunti, profilo di particolare delicatezza quando l’intera struttura concordataria si regge sull’intervento di un soggetto terzo. Come sottolineato dalla giurisprudenza più recente, l’attestazione del professionista indipendente deve verificare non solo la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano, ma anche la capacità effettiva dell’assuntore di far fronte agli impegni assunti.
Nonostante le criticità riscontrate, il Tribunale di Verona non ha dichiarato inammissibile la proposta, ma ha concesso termine per la modifica del piano e per il deposito della documentazione integrativa, paventando, in caso contrario, l’arresto prematuro della procedura. Questa scelta processuale dimostra l’attenzione del giudicante verso la preservazione delle possibilità di regolazione negoziale della crisi, pur nel rispetto dei principi normativi inderogabili.
La decisione del Tribunale di Verona assume particolare significato nel panorama interpretativo del nuovo diritto concorsuale, contribuendo a definire i confini applicativi delle diverse tipologie di concordato preventivo. L’orientamento espresso dai giudici scaligeri appare destinato a influenzare la prassi professionale, orientando i professionisti verso una più attenta valutazione delle caratteristiche strutturali della proposta concordataria ai fini della corretta individuazione della disciplina applicabile.
L’approccio rigoroso adottato dal Tribunale di Verona, pur potendo apparire limitativo della creatività negoziale, garantisce maggiore certezza del diritto e uniformità applicativa, valori particolarmente apprezzabili in un sistema normativo ancora in fase di consolidamento interpretativo. La chiarezza dei criteri di qualificazione individuati dalla decisione veronese costituisce un punto di riferimento importante per tutti gli operatori del settore, contribuendo a ridurre l’incertezza interpretativa che aveva caratterizzato i primi anni di applicazione del Codice della crisi d’impresa.